mercoledì 21 novembre 2007

Global Warming

Niente festa dell’indipendenza domani 22 novembre. Il generale Michel Suleiman si è rivolto ieri ai propri soldati invitandoli a non prendere posizione di fronte ai possibili disordini che potrebbero aver luogo nel caso non si raggiunga il consenso sul nuovo Presidente della Repubblica, ma di vigilare in nome delle istituzioni nazionali.

Nella convulsa giornata di ieri NowLebanon, un’agenzia libanese decisamente schierata col blocco del 14marzo, ha spezzato la tensione e verso sera ha riportato la breaking news che Kouchner dichiarava ufficialmente posticipate le elezioni presidenziali a venerdì.

Kouchner. Kouchner che annuncia l’ennesimo spostamento delle elezioni presidenziali.

Sembra encomiabile il lavoro che il ministro francese sta svolgendo in queste settimane in Libano per portare il paese verso la stabilità. Se ne occupa come se fosse il suo figlioletto malato che pronto dovrà affrontare una difficile operazione. Va in Francia e torna dopo pochi giorni. A volte si ferma a salutare i vicini, oppure manda qualcun’altro. Questa volta Kouchner ha deciso che si fermerà fino alla fine, fino all’elezione, o perlomeno fino al 24.In effetti non è certo che ci sia un’elezione. Ma il fatto che sia stato lui ad annunciare da Bkerke, sede del patriarcato maronita, lo spostamento della sessione presidenziale lascia come un sapore fin de siècle Beirut. O meglio, dà il polso di come nel Libano di questi giorni sia ormai difficile trovare una figura che possa parlare, pacatamente, in nome di tutti.

Fino a poco tempo fa, in quanto “padrone di casa”, questo ruolo era riservato a Berri, il portavoce del Parlamento e leader di Amal, che non ci ha messo molto tempo ieri a dare l’annuncio ufficiale.

Ma proprio ieri l’ex “demiurgo” Nabih Berri è pure lui finito sotto accusa, insieme a Saad Hariri, coloro che sembrano i portavoce dei due blocchi in conflitto. Lo “squalo ferito” di Rabieh, si legga Michel Aoun, si è avventato contro il rappresentante sunnita e quello sciita, accusandoli direttamente di manipolare le prerogative della comunità cristiana, in uno slancio che cercava di muovere i più infimi orgogli settari.

Ma in Libano, per quanto ci si sforzi di negarlo, non sono solo i sentimenti comunitari che smuovono le acque. Di certo aiutano, ma la brama di potere è molto più grande. Il potere sembra l’unico toccasana contro i mali del confessionalismo politico. Una ong potrebbe nascere presto.

Intanto è global warming. Tutti si affrettano a parlar con tutti e si è perso il conto di chi ha visto chi. Difficile sarebbe essere nei panni di quella task force che si occupa di raccogliere tutte le informazioni su tutti gli incontri e passarle poi al proprio rappresentante. Perchè no, lo scontro pubblico non è fra due o più candidati alla presidenza. Loro stanno pressoché nell’ombra. Solo Aoun vorrebbe sfidarli tutti uno per uno a suon di guanti in faccia. Ma il gioco non funziona così. (un gioco simile apparso online è stato da poco censurato www.doumagame.com)

Amr Moussa, il segretario generale della Lega Araba, ha avuto rassicurazioni da Emile Lahoud, Hariri si è incontrato a Mosca con Putin, dove ha avuto ulteriori rassicurazioni sugli sforzi del Cremlino. Il presidente francese Sarkozy ha chiamato al telefono Bashar al Assad, da considerarsi un evento storico, considerati i rapporti tesi fra Francia e Siria dopo l’omicidio Hariri. Due inviati francesi hanno raggiunto allo stesso tempo Damasco personalmente, e Teheran ogni tanto dice la sua sulla situazione in Libano. Kouchner sembra che abbia chiamato al telefonino il ministro D’Alema durante una riunione italo-tedesca, per aggiornarlo sugli ultimi sviluppi della situazione libanese, e sembra che la Merkel gli abbia fatto i più sinceri auguri.

I falchi americani sembrano invece silenziosi. Le opzioni sono due. Hanno dato via libera alla Francia in Libano, oppure stanno preparando meticolosamente l’happening di Annapolis, in programma il 27 novembre, che dovrebbe riportare sui binari il processo di pace in Medio Oriente, ma che molti danno già come morto in partenza.

In ogni modo bisognava aspettarselo che la situazione si sarebbe risolta (trapela ottimismo dalle parole dell’autore) nelle ultime ore dell’ultimo giorno. Nel gioco al rialzo degli ultimi due anni, con tante questioni ancora aperte sul tavolo, sembrava improbabile che il nuovo presidente libanese potesse uscire da una pacata sessione del parlamento.

Venerdì è l’ultimo giorno disponibile. Accorrete numerosi.

Come sarà la notte di venerdì? Ci sarà un presidente di consenso? E saranno tutti contenti di tal consenso? A risposta affermativa, si riverseranno tutti nelle strade della capitale per sbloccare (momentaneamente) una tensione che dura da troppo tempo. A risposta negativa, o nel caso di un presidente di maggioranza, probabilmente si riverseranno in strada ugualmente, ma non saranno le stesse persone forse, e probabilmente avranno uno spirito, diciamo, più “guerresco”?

Il bellone francese, che in una delle sue ultime apparizioni a Beirut si era fatto riprendere a un matrimonio libanese ballando compostamente debke, potrebbe essere ancora qui venerdì notte. Nel caso si raggiunga il consenso, giurerei che potremmo vederlo ballare come un giovanotto questa volta, scandendo il ritmo del debke come un forsennato posseduto dallo spirito della danza araba.

Michel Hayek aiutaci tu. Vogliamo tutti vederlo ballare, please.