venerdì 27 luglio 2007

La battaglia della memoria nel Metn

Una mano di vernice alla parete, un poster affisso alla vetrina, il logo, quattro sedie ed un tavolino. Si stanno allestendo a gran velocità i gazebo elettorali nelle montagne del Metn. Piccoli negozi, fino a pochi giorni fa in disuso, si stanno colorando di arancione e di bianco, e si ornano di bandiere, poster e striscioni. L’uniformità del colore è importante per il colpo d’occhio. Come laboriose formiche gli chebeb si danno da fare in queste ore per far trovare pronte le postazioni dei “fedeli” del proprio partito. Già sfrecciano le prime automobili per le località di villeggiatura del Metn, a volume assordante e sventolando enormi bandiere come fossero vessilli di guerra. Le voci corrono veloci a Brummana, a Bikfaya a Beit Mery, le discussioni si fanno sempre più cruente e si alternano agli ultimi rumori della politica libanese.

Mancano ancora una decina di giorni alla data delle elezioni per occupare il seggio vacante della circoscrizione del Metn, lasciato spoglio il 23 novembre del 2006, dopo che un commando armato assaltò e trucidò Pierre Gemayel nella periferia della capitale.
Sono già tutti pronti per quella che si appresta ad essere la già ribattezzata “battaglia del Metn”. Un seggio parlamentare da occupare, ma che ha ormai assunto i caratteri dell’investitura di un vassallo nel reame della comunità maronita libanese. Una battaglia che farà da prologo al ben più ambito trono presidenziale. Una vittoria simbolica che servirà per mostrare all’opinione pubblica quale sarà la forza che dovrà rappresentare i maroniti alla presidenza della repubblica. Da una parte l’alleanza fra le Forze Libanesi ed i falangisti del Kataeb, dall’altra, gli arancioni del generale Aoun.

Ma, più che altro, la “battaglia del Metn si sta trasformando in una perfida guerra della memoria, fatta di battute velenose e colpi bassi quotidiani. La memoria perduta dei cristiani d’oriente? No, non ancora. È invece quella della comunità maronita libanese e della sua crescente marginalizzazione nello scenario politico libanese.
Sembra che la battaglia del Metn rappresenti il primo passo per saldare i conti di venti anni di diatribe cristiane, proprio dal momento in cui, in una notte di settembre del 1988, Aoun prese in mano lo scettro della comunità maronita, donatogli dallo stesso Amin Gemayel.
Ora i contendenti si denigrano vicendevolmente. Si trovano faccia a faccia ed, a differenza delle elezioni “post-rivoluzione” del 2005, è per entrambi ben definita la posizione rispetto ai due blocchi nazionali ed è ben chiaro che queste elezioni rappresentano il primo passo verso la poltrona presidenziale. Da una parte Camille Khoury, il candidato aounista che sembra più propenso a lasciare la luce dei riflettori mediatici ai suoi superiori, e dall’altra parte lo stesso Amin Gemayel.

Velenosa lotta a suon di battute acide. Battute e controbattute che rievocano spesso memorie passate, ma con rancori ancora aperti. Una memoria spesso tirata in ballo per comodità, e sfortunatamente non per render conto alla storia, ed ai cittadini. La battaglia del Metn sembra così clamorosamente diventata il centro, il motivo, la causa e la soluzione della decadenza cristiana in Libano.
Si accusa il generale di non essere troppo politically correct, presentandosi alle elezioni, e di dimostrare poca sensibilità verso il martire Pierre Gemayel. Suo padre, Amin, invece, rischia sempre nelle sue dichiarazioni di considerare il seggio del figlio come una sua giusta eredità, che in Libano si passa da padre in figlio e da figlio a padre, come già successo pochi mesi fa fra Gibran e Ghassan Tueni.

Michel Aoun è, dopo quasi venti anni, ancora considerato colpevole di aver innescato la decadenza cristiana negli anni novanta, quando, alla testa del governo, lanciò la sua personale crociata per la legalità, confrontandosi con le milizie delle Forze Libanesi di Samir Geagea.
Dall’altra parte si evoca la posizione incoerente del Movimento Patriottico Libero che invoca l’incostituzionalità del governo e delle elezioni, il cui decreto il presidente Lahoud si è rifiutato di firmare, ma che per opportunismo politico non può lasciarsi scappare l’occasione di andare “alla conquista del Metn”. Sfumature già rimosse dalla memoria collettiva.

Una comunità cristiana che il sinodo maronita ed il suo patriarca sognano unita, o meglio, con un’unica voce, come sempre a scapito delle differenze interne. L’unione fa la forza, anche in Libano. Un’elezione che vuole saldare i conti di venti anni di diatribe intra-maronite, ma che opportunisticamente aiuterebbe a risolvere la questione sempre aperta della leadership comunitaria. Con una porta sempre aperta all’accordo politico dell’ultimo minuto, che equivarrebbe ancora una volta ad un compromesso sulla memoria storica dei libanesi.