sabato 21 gennaio 2006

Libano. Quella stravagante identità drusa...

In questi primi giorni dell’anno nuovo la scena politica libanese, quella mediatica, è continuamente scossa dalle giornaliere esternazioni del leader della comunità drusa, Walid Jumblatt. Un giorno il leader druso si permette arditi commentari, il giorno dopo si accavallano le reazioni indignate delle vittime delle sue parole, il giorno seguente si cerca di ripiegare e aggiustare il tiro, per poi seguire un andamento circolare che già intrattiene il “pubblico” libanese da quasi un mese.


La popolazione libanese è ben conscia degli “sbalzi d’umore” e del carattere trasformista del bey Jumblatt, tanto che lo fa uno dei personaggi meno rispettati all’interno dell’arena politica libanese, chiaramente fuori dalla sua comunità, e secondo un ipotetico sondaggio nazionale. La scintilla che ha fatto scattare le sue destabilizzanti esternazioni, che ultimamente hanno come pericoloso obiettivo quello di portare alla luce la reale politica del partito sciita di Hezbollah, è stata l’uscita dal governo d’unità nazionale di Fuad Siniora dei cinque ministri sciiti, dopo che il blocco di forze del 14 marzo aveva chiesto una commissione internazionale sull’assassinato di Rafiq Hariri.

Fra un episodio e l’altro, le dichiarazioni televisive da Parigi dell’ex vice-presidente siriano Khaddam, un testimone incredibilmente non preso in considerazione dalla Commissione Mehlis fino a quel momento, e le conseguenze di tali parole sulla scena libanese ( è tuttavia necessario sottolineare come nessun mezzo di comunicazione nazionale ha cercato di minimizzare le sue parole, e ricordando invece i suoi legami “di parentela” con la famiglia Hariri).

Fino a tre anni fa il leader druso era uno dei “migliori amici” della potenza occupante siriana e nulla avrebbe fatto pensare che si sarebbe potuto trasformare in quello che oggi rappresenta, e ciò che ha rappresentato durante la Primavera di Beirut. Jumblatt, con i suoi ministri fedeli, fu il primo rappresentante politico nell’estate del 2004 a boicottare la proposta di rinnovamento per ulteriori tre anni del mandato al presidente Emile Lahoud. Marwan Hamade, un suo fedelissimo, fu il primo rappresentante politico ad inaugurare la serie di tentativi d’assassinato tramite autobomba, ma miracolosamente ne uscì illeso.

Lo stesso Jumblatt organizzò e formò il blocco dell’opposizione, prima e dopo l’omicidio Hariri, ospitandone il “parlamento” nel suo palazzo della Moukhtara, sulle montagne dello Chuf. Il suo forte carattere antisiriano, soprattutto durante le manifestazioni di piazza della primavera, con la successiva elezione del suo blocco, si è visto attenuarsi in nome della difesa, contro la Risoluzione ONU 1559, delle armi in mano alla milizia di Hezbollah, e della sua tutela in nome della resistenza contro il nemico comune israeliano.

La stessa strenua difesa della “resistenza” si tramutò, dopo la crisi di governo pre-natalizia, in un feroce ma indiretto attacco a Hezbollah, reso esplicito dal commento del leader druso sul fatto che le armi nelle mani di gruppi armati possano essere “strumenti di tradimento” per la nazione.

Dopo gli scontri di piazza fra esercito e studenti di sabato pomeriggio, in seguito alla visita in Libano del diplomatico statunitense David Welch, a che si accusa d’ingerenza inaccettabile nella politica interna libanese, ed il successo insperato della manifestazione anti-americana di fronte all’ambasciata degli USA, le reazioni non si sono fatte attendere. La manifestazione di martedì che si è contraddistinta per la presenza di numerose bandiere libanesi, chiari slogan di supporto ad Iran e Siria, ed altri di carattere decisamente antiamericano e antisraeliani, è stata organizzata dalle cosiddette forze dell’8 marzo, in relazione alla manifestazione svoltasi nella primavera, formate principalmente dagli sciiti libanesi e da quei partiti filo-siriani. (tra l’altro occorre notare come i principali mezzi di comunicazione definiscano questo blocco come “attivisti pro-Damasco”, “forze anti-14 marzo”, “organizzazioni giovanili pro-siriane”,...).


L’ultima dichiarazione di Jumblatt vede “la mano di Damasco ed Iran” dietro le sembianze della bandiera libanese.In un momento dove è sempre più evidente che il Libano è diventato terreno di scontro tra le forze occidentali da un lato, il cui intervento è caldeggiato da una buona parte di politici libanesi, e la Siria e l’Iran dall’altro, e dove le Nazioni Unite non riescono ormai più ad assumere un serio carattere di mediatore super partes, la situazione sembra di non facile soluzione.


Conoscendo la grande importanza dell’identità comunitaria in Medio Oriente, e la forte influenza in questa regione del leader, in grado di essere seguito ciecamente dai suoi seguaci, ed in grado di cambiare l’identità collettiva di un gruppo di persone ( ricordo che la maggioranza dei drusi è anche “ socialista”, nel senso che il partito “confessionale” di riferimento è il Partito Socialista Progressista, ma escludo a priori che molti sappiano cosa è realmente il socialismo...), mi chiedo cosa stia passando per la testa del druso medio, quello che vive nelle montagne dello Chuf, che ha cieca fede nel suo master, e che prende le sue parole come oro colato.

Forse si sta chiedendo se la sua identità non stia passando da essere panarabista e pro-siriana, marcatamente anti-israeliana e pro-palestinese, fino a pochi anni or sono, ad un’identità di carattere nazionale libanese, dopo la primavera di piazza, e, fino al limite dell’impensabile fino a poco tempo fa, di pro-americana e occidentalista in seguito alle ultime esternazioni del loro leader...