lunedì 16 luglio 2007

Ricorrenze umane e divine

Il Tarìk al Matar, la strada che conduce dal centro città all’aeroporto e viceversa, suggerisce chiaramente la scelta di Hezbollah di celebrare la fine della guerra della scorsa estate e non l’anniversario del suo inizio, a differenza dei vicini israeliani. Saltuari cartelloni fissano la data della vittoria divina al 14 agosto. Lo scorso anno, nello stesso giorno, decine di migliaia di rifugiati presero in mano, quasi “per ordine divino”, la bandiera libanese, lasciando controvoglia nell’armadio quella gialla del Partito di Dio, e si misero freneticamente in coda per tornare alle proprie case, o quello che ne rimaneva.
Mentre Hezbollah ha deciso di posticipare la “vittoriosa” celebrazione, il Libano invece, ed in particolar modo la sua componente più nazionale che è rappresentata dall’esercito, celebra questo funesto anniversario soffiando ancora una volta sulle incandescenti candeline dei razzi katyusha. Mentre nell’estate del 2006 il vento soffiava cospicuamente verso Israele, in questo scorcio di estate sembra aver preso la rotta settentrionale, dove la milizia di Fatah al Islam, assediata dentro il campo di Nahr el Bared, per alleggerire la pressione dell’esercito, ha pensato bene di sparare quotidiani razzi all’impazzata verso i villaggi vicini dell’Akkar, creando per il momento solo paura e danni materiali.
Lady Katyusha come sempre sembra servire le cause più disparate, ma coerentemente non manca agli appuntamenti con le ricorrenze più sentite.

Intanto, la comunità sciita rimane sempre nell’occhio del ciclone, ma allo stesso tempo anche al centro delle notizie. Parole non scritte, ma bisbigliate non troppo pacatamente, parlano ormai della volontà di un maggior peso nella politica nazionale ed una riformulazione delle quote. È una constatazione peraltro che la comunità sciita è l’unica che, per la sua compattezza, potrebbe far saltare, o lo sta facendo come qualcuno potrebbe supporre, il sistema consensuale libanese, che esige la presenza di tutte le comunità nel consiglio dei ministri. La presenza di un’altra rappresentanza sciita, magari con una certa affiliazione con le idee del 14 marzo, potrebbe rappresentare in questo caso una facile soluzione a molti problemi istituzionali.

Secondo differenti prospettive, e con obiettivi di fondo, sono nati negli ultimi giorni due differenti movimenti politici, entrambi dall’impulso di alcuni membri della comunità sciita. Il Riviera ed il Bristol, due dei più sintomatici hotel beirutini, ne sono stati lo scenario. Da una parte, il Raggruppamento dell’Opzione Libanese, che ha dato il via alla nuova opzione sciita per mano dello zaim Ahmad al Assad, il cui ben più conosciuto padre Kamel venne spodestato dal potere prima da Amal e poi da Hezbollah, quando il movimento degli oppressi messo in marcia da Musa al Sadr negli anni sessanta cominciò a fare piazza pulita dell’antica rappresentazione nazionale sciita legata ai grandi proprietari feudali del Jabel Amil.
L’Opzione Libanese si aggiunge a quella Corrente Patriottica Sciita dello cheik Mohammad Hajj Hassan, che pure da pochi mesi cerca di dare una rappresentazione “da 14 marzo” agli sciiti, ma che decisamente non riesce a trovare concreti consensi. Un nuovo movimento politico che si propone di eliminare la corruzione ed il nepotismo che annichilisce la società libanese, e che si prefigge di essere voce critica dentro la coalizione del 14 marzo. Da sempre nel laboratorio libanese i leader feudali in decadenza hanno cercato di riconquistare le masse comunitarie sotto altri aspetti. Le prossime mosse aiuteranno a stabilirne l’efficacità.
L’altro movimento è invece il Centro Civile per l’Iniziativa Nazionale, che nasce dagli sforzi dell’antico portavoce del Parlamento Hussein Husseini, che, insieme ad altre personalità pubbliche provenienti da tutte le comunità, opta per la creazione di uno Stato civile, soprattutto con l’idea cardine di rimuovere dal registro civile il riferimento alla confessione dell’individuo. Con l’obiettivo di diventare presto un partito politico, anche in questo caso bisognerà aspettare per vedere i risultati che otterrà l’ennesimo movimento laico e aconfessionale di una società civile nazionale che si ingrandisce ma che si frammenta proporzionalmente.

Nonostante i differenti aspetti, le posizioni comuni fra i due nascituri non mancano. Entrambi propagandano la creazione di uno Stato civile, ed entrambi sono impulsati da membri di famiglie che hanno ricoperto la carica di portavoce del Parlamento, una posizione riservata istituzionalmente alla comunità sciita. Sarà inoltre compito arduo per entrambi quello di trovare un concreto spazio di manovra, soprattutto se non sarà attuata una riforma di una legge elettorale che al momento attuale aiuta solo a confermare la consueta dinamica libanese del gateau da spartire.
Due modi differenti per affrontare la crisi libanese verso l’elezione presidenziale, ma come è ormai abitudine gli stessi volti ritornano a cadenza fissa sullo scenario libanese senza lasciare spazio a quelle nuove generazioni che invece come costume preferiscono fuggire all’estero, e dimenticare di essere libanesi.