sabato 27 gennaio 2007

La crisi libanese

“ Sciopero generale!”. “Aumento della produzione!”. Si sono confrontati a suon di slogan (e di milionarie campagne pubblicitarie per le strade del paese) i leader delle forze governative e dell’opposizione nelle ultime settimane. E mentre la data indetta dall’opposizione per lo sciopero generale si avvicinava, non si è verificato alcun segno di cedimento o tentativo di dialogo da entrambe le parti. Quello a cui ha portato tanta ostinazione, in questo martedi di gennaio che precede di pochi giorni la discussa riunione internazionale di “Parigi 3”, è stata una netta frattura fra i due blocchi politici che occupano la scena libanese, e che sarà difficile ricomporre. E’ la prima volta, escludendo le brevi scaramucce di dicembre che costarono la vita ad un giovane militante del partito di Amal, che i due blocchi si sono trovati a scontrarsi in strada a viso aperto così violentemente. Ancora più inquietante il fatto che la violenza sia stata generalizzata in tutto il paese. Sidone, Tripoli, Batroun, Akkar, Nabatieh, la valle della Beeka: tutti scenari di scontri fra fazioni opposte. La città di Beirut è stata forse quella che più drammaticamente ha vissuto questa giornata. Negozi e scuole chiuse, quartieri deserti e blocchi stradali nelle zone più sensibili, quelle tra quartieri confessionalmente opposti o politicamente conflittuali. Gli scontri sono stati sarcasticamente “inter-confessionali” e “intra-confessionali”; se sciiti dell’opposizione e sunniti filo-governativi si sono scontrati in una delle arterie principali della capitale come Corniche Al-Mazrah e nel quartiere di Hazmieh, i cristiani si sono affrontati all’interno dei loro confini. I primi cercando di bloccare le strade con sassi, cassonetti e bruciando copertoni, mentre invece i militanti pro-governativi cercavano di impedirglielo.

I blocchi stradali sono cominciati già alle prime luci dell’alba e, dopo una calma di un paio di ore, sotto la stretta sorveglianza dell’esercito, non hanno tardato molto in presentarsi le occasioni per provocazioni da entrambe le parti. Mazze, bastoni di legno, pietre e armi automatiche hanno così fatto la loro comparsa, ed hanno provocato in tutta la giornata un centinaio di feriti, e sicuramente due morti.

L’esercito, che ha giurato negli ultimi mesi fedeltà alle istituzioni nazionali, dopo aver osservato le azioni della mattinata con certa indifferenza ed inattività, ha infine ripreso in mano la situazione che sembrava scappargli ormai di mano, cercando prima di interporsi fra le parti ed in certi casi isolati usando le maniere forti, ma sempre cercando di non schierarsi per uno dei contendenti.

L’escalation promossa dalle forze dell’opposizione, rappresentate dagli sciiti di Hezbollah ed Amal, i cristiani del generale Aoun e Frangieh ed i drusi di Arslan, arriva dopo lo stallo del sit-in dei manifestanti anti-governativi nel centro città, da ormai quasi un mese e mezzo installati senza che sia stata ancora raggiunta la richiesta principale: la caduta del governo Siniora e nuove elezioni nazionali. Le critiche condizioni del post-guerra, la creazione del tribunale internazionale per giudicare gli assassini di Rafic Hariri e la corsa alla ghiotta poltrona presidenziale nel novembre 2007, sono solo alcuni degli ingredienti per capire la grave crisi libanese.

Ugualmente importante il fatto che il 25 di gennaio sia stata indetta la conferenza di aiuto per il Libano a Parigi, in parte osteggiata dalle forze dell’opposizione, che vedono in essa solamente un aumento di tasse ed aggiustamenti economici dettati da organizzazioni internazionali, che non farebbero che mettere ulteriormente sul lastrico i cittadini di un paese che è sull’orlo della bancarotta e che ha spinto ancora una volta molti ad intraprendere la strada dell’emigrazione. Come ha detto il generale Aoun nei giorni scorsi “Parigi1 (dopo la guerra civile) è stata affrontata con 24 milioni di dollari di debito nazionale, Parigi2 con 36 ed ora Parigi3 con 45”. Sono molti in Libano a non credere alle dinamiche che dominano le conferenze per gli aiuti al paese dei cedri. Intanto la giornata di martedi sembra essere solo un amaro aperitivo di quello che dovrà ancora