martedì 28 novembre 2006

Nuova rivoluzione o guerra civile?

Martedì pomeriggio le linee di telefonia mobile erano fuoriuso a Beirut, e quando questo accade, non ci si può mai aspettare niente di buono. Gli ultimi due tormentati anni nella capitale libanese ne hanno fatto una prova evidente o un presagio funesto di futura tragedia. La prima reazione, di conseguenza, è quella di accendere la televisione. Martedi scorso si è tragicamente confermata questa prassi. Linee fuoriuso, televisione accesa su uno dei molteplici canali libanesi, immagini dall’ospedale dove era stato portato il corpo del ministro Pierre Gemayel. Prima ricostruzione: pieno giorno, periferia cristiana della capitale, un commando “mafioso” ferma la macchina di Gemayel, lo fredda e scappa fra la folla sventagliando raffiche di proiettili per farsi largo. Quella dei Gemayel è sicuramente una delle famiglie più importanti del Libano, di quelle che ne hanno fatto la storia, ma anche una delle famiglie più “insanguinate”. Bashir, zio di Pierre, fu l’ultimo, nel 1982, ad essere assassinato per mano d’ignoti mandanti, proprio nella sede del partito falangista. L’uccisione di Bashir Gemayel, presidente libanese da meno di un mese, provocò, in nome della vendetta, quella ormai rinomata tragedia che va sotto il nome di Sabra e Chatila. Le milizie cristiane falangiste, battezzate cinquanta anni prima dallo stesso Hitler, ed allora alleate con gli israeliani (scherzi della storia), entrarono nei due campi profughi palestinesi alla periferia della capitale. In quattro giorni non-stop massacrarono più di duemila persone, principalmente donne, bambini e civili non armati. La guerra civile libanese, che sembrava si fosse definitivamente fermata, riprese vigore. Le truppe internazionali, tra cui gli italiani, fecero il loro ritorno in Libano, con la coscienza macchiata di sangue innocente, dopo che avevano lasciato frettolosamente il paese pochi giorni prima in seguito all’evacuazione delle milizie palestinesi. Martedì, in tutti tornò alla memoria l’ultimo Gemayel assassinato e le conseguenze di quell’evento. I negozi chiusero le serrande in un batter d’occhio ed i libanesi si riversarono nelle strade per raggiungere frettolosamente un luogo sicuro. Le truppe italiane, questa volta nel paese, ma ad un centinaio di km di distanza, alzarono subito il livello di allerta.

Lo spettro della guerra civile, in una situazione già tesa, non ha faticato nel prendere piede. Nelle settimane precedenti l’omicidio, molti libanesi lo sventolavano apertamente, per allontanarne lo spauracchio, per scongiurarla. Non c’è voluto molto perchè s’insediasse in tutte le redazioni del mainstream internazionale e si alzasse in un coro unanime: Libano sull’orlo della guerra civile. Anche le televisioni locali hanno lanciato nel palinsesto notturno immagini di repertorio della guerra civile conclusasi al principio degli anni novanta. Nella realtà, nelle ore successive all’omicidio, si è assistito a pochi incidenti, piccoli scontri, ed alcune scaramucce all’interno della stessa comunità cristiana, dovuto al fatto che i suoi leader sono schierati in due opposti schieramenti. Giovanissimi i protagonisti dei disordini. Il funerale di Gemayel, nei giorni successivi, si è trasformato, come ormai consuetudine in questo paese, in un’oceanica manifestazione di massa ineggiante ad una seconda rivoluzione dei cedri per la libertà del popolo libanese.

La carne sulla brace libanese è parecchia. La guerra estiva israeliana che ha messo in ginocchio il paese, le truppe internazionali schierate nel sud del paese, il tentativo dell’opposizione di far cadere il governo, gli omicidi politici, il tribunale internazionale per giudicare i colpevoli dell’omicidio Hariri, una seconda rivoluzione per la “libertà e la democrazia”, le tensioni crescenti all’interno della comunità cristiana e la disobbedienza civile ineggiata dagli Hezbollah nei prossimi giorni. Una matassa difficile da sbrogliare. Rivoluzione e guerra civile non si complementano, viaggiano su binari in opposte direzioni.