mercoledì 26 settembre 2007

La corsa alla presidenza libanese - primo atto, scena seconda

Una delle voci che insistentemente circolava in città durante la prima settimana di settembre sembra che si sia finalmente dissolta nel nulla. La Voce del Popolo annunciava che nei giorni antecedenti al 25 settembre, giorno previsto per il primo round in parlamento per l’elezione del Presidente della Repubblica, una serie di bombe sarebbero esplose in differenti zone della capitale per tre o quattro giorni. A quel punto l’esercito avrebbe ristabilito l’ordine prendendo militarmente il potere, che avrebbe mantenuto per due anni, fino a quando non avrebbe affidato il governo a, udite udite, Bahia Hariri, sorella del più noto Rafiq, primo martire di questa nuova fase storica libanese. Fortunatamente niente di tutto ciò è accaduto, e sfortunatamente per Bahia Hariri, perchè sarebbe stato stuzzicante vivere due anni nel limbo, avendo però la certezza dell’elezione di un governo capeggiato da una donna. Peccato, sarebbe stata la vera rivoluzione di una società marcatamente e sfacciatamente patriarcale.

Scende invece il silenzio dopo la pantomima del 25 settembre in Place de l’Etoile. La maggioranza al governo si è presentata compatta alla sede del parlamento, forte dei suoi 68 rappresentanti. L’opposizione anche si è presentata in gran numero, in primis i membri di Hezbollah e Amal, ma nella sala della riunione parlamentare hanno fatto solo capolino... Il deputato di Hezbollah, Hussein Hajj Hassan, a “cerimonia” conclusa si è soffermato sulla porta della sala, buttando la testa dentro, ma titubante nel metterci piede, forse per paura di essere contato. Un altro deputato invece, come Ali Hassan Khalil, del partito di Amal, ha partecipato come osservatore alla pantomima e si è messo a discutere scherzosamente e piacevolmente con Saad Hariri. Altri deputati dell’opposizione, sebbene nell’edificio del parlamento, sono entrati a sessione conclusa, come se fossero al liceo ed entrassero in classe un’ora dopo perchè non preparati per l’interrogazione di educazione civica. Più curiosità desta il comportamento del grande demiurgo del dialogo nazionale, nonché portavoce dello stesso Parlamento, colui che aveva proclamato la sessione per il 25. Nabih Berri infatti non si è presentato in sala, lasciando al vice presidente del parlamento il piacere di posticipare la nuova sessione al 23 ottobre.

Il “demiurgo” si è invece intrattenuto privatamente con Saad Hariri nella cordiale cornice del palazzo del parlamento, in quello che tutti dicono essere stato un piacevole e positivo incontro. Il tutto non sembra avere alcun senso se si considera il fatto che il “demiurgo” è forse la persona che in Libano rappresenta le posizioni più vicine alla Siria, dopo tanti anni di accondiscenza. Anni addietro, ai tempi dell’amnistiata guerra civile, arrivò anche a dire che “I am a Lebanese in Syria, and a Syrian in Lebanon”; di più non è necessario aggiungere.

La questione, o il rompicapo, è che al momento attuale Hariri e Berri sembrano gli unici pronti ad una soluzione di consenso, che può voler dire in altre forme, un riavvicinamento tra Siria e Arabia Saudita, un po’ come ai tempi degli accordi di Taef, “lasciateci mano libera col governo, e vi lasciamo liberi di sguazzare in Libano”. Anche nei giorni antecedenti all’attentato di Antoine Ghanem, l’unico esponente della maggioranza a raccogliere l’invito di Berri al consenso fu lo stesso Hariri. Un Hariri che il giorno dell’omicidio Ghanem dopo aver definito ripetutamente i siriani come dei codardi, in uno sfoggio inaspettato di personalità, si è riversato, poche ore dopo la sessione mancata, in una nuova crociata antisiriana, in un’ intervista rilasciata alla catena FOX news. Attacco diretto ai siriani, ma colloquio piacevole con Berri. Difficile spiegare l’arcano con dosi di buon senso.

Quelli che invece non ne vogliono proprio sapere della parola “consenso” sono decisamente Walid Jumblatt e Samir Geagea. Entrambi non perdono occasione di confermare la propria posizione: elezione del presidente per maggioranza più uno del quorum. É indubbio che la loro politica è quella di arrivare al 24 novembre, o forse già al 23 ottobre, ed eleggere un presidente di maggioranza, che avrà l’avvallo costituzionale, e quindi costruire le barricate pronti all’offensiva dell’opposizione. Probabilmente dovranno scontrarsi con il blocco di Hariri ed il patriarca Sfeir, che ha pubblicamente “pregato” per un presidente di consenso.

A rimetterci questa volta, come anche dopo l’accordo di Taef del 1989, sembra che siano nuovamente i cristiani, che per l’ennesima volta vedono la carica, ormai pressoché simbolica, di presidente venir barattata dalle altre comunità.. Il patriarca, che sembra il vero rappresentante ufficiale cristiano nella corsa alla presidenza, sembra infatti l’anello debole della trojka che sta discutendo la situazione nazionale, formata da Berri, Hariri ed appunto Sfeir. C’è tutta la impressione che i soliti noti, Aoun e Geagea, coloro che hanno maggior seguito popolare cristiano, saranno presto tagliati fuori dai giochi, sempre escludendo una escalation o un colpo di mano.

Intanto ci si chiede se la sessione di ieri sia possibile considerarla come il primo round, e che quindi darebbe già spazio alla possibilità di eleggere un presidente di maggioranza semplice, come dice la costituzione. L’assenza di Berri si potrebbe leggere sotto questa ottica, e può essere in futuro un motivo di facile contestazione da parte dell’opposizione, considerato che la “battaglia” si gioca apparentemente nella cornice del testo costituzionale.

Per dovere di cronaca, i parlamentari della maggioranza si sono presentati alla sessione sfoggiando quella semplice e fine sciarpetta bianca e rossa che tanto ha fatto furore in Libano in quel ormai così lontano 14 marzo del 2005. Lontano per la quantità impressionante di eventi succedutesi, e lontano dai sentimenti della maggior parte dei libanesi, che non sentono più quella brezza di libertà che ha caratterizzato la primavera del 2005, ma un’insopportabile afa che rende l’aria irrespirabile e che ha assunto i contorni sempre più chiari di una battaglia per accaparrarsi il potere.