lunedì 6 febbraio 2006

Libano. L'ingresso di Al-Qaeda nello scenario politico libanese

Nella notte fra giovedì e venerdì una bomba a scarso potenziale è esplosa nei pressi di una caserma militare, nel quartiere di Ramlet el-Baida, nella prima periferia beirutina, provocando pochi danni materiali ed un solo ferito lieve.


La rivendicazione, già preannunciata con una chiamata ad un quotidiano locale, è stata fatta a nome di Al-Qaeda, e proveniva da un telefono pubblico situato nel campo rifugiati di Ain el-Hilweh, uno dei luoghi che maggiormente fa discutere l’opinione pubblica nazionale, nel dibattito sulla presenza di armi fuori e dentro dei campi. Questo “attacco” della rete islamista, fa seguito all’episodio del lancio di razzi katyusha da territorio libanese in suolo israeliano (per la cui rivendicazione si è mosso lo stesso al-Zarqawi in persona), ed all’arresto di una quindicina di presunti membri della rete nelle scorse settimane, i più dei quali siriani, palestinesi e libanesi. Ma fino a che punto si possono accogliere con completa sicurezza tali rivendicazioni? Bisogna ricordare che anche l’attentato di cui fu vittima l’ex-primo ministro Rafic Hariri fu rivendicato da un gruppuscolo legato ad Al-Qaeda; allo stesso modo l’assasinio di Gebran Tueni; anche il piano “sventato” che avrebbe dovuto attaccare l’ambasciata italiana a Beirut (che fra l’altro si dimostrò completamente incosistente e che costò la vita in carcere, per motivi di salute secondo le autorità, ad uno degli indagati per il crimine) sarebbe stato opera di un gruppo legato alla rete binladeniana.

Sicuramente la società libanese, ed in particolar modo quella di Beirut, il cui divario sociale inconcepibile e stupefacente salta prepotentemente all’occhio, con modelli di vita opposti che si scontrano nello stesso spazio pubblico, può essere facile brodo di coltura per la germinazione di tali gruppi radicali.La presenza di un incredibile numero di obiettivi sensibili, come rappresentanze straniere, multinazionali e luoghi di ozio e divertimento, in contrasto con le povere zone periferiche, non può che far aumentare l’allerta di giorno in giorno.

Ma quello che più è certo, e quello che più tristemente interessa la classe politica locale, è la sua facile manipolazione a fini politici. Da una parte, e si parla dei rappresentanti dei partiti di governo, si chiamano per l’ennesima volta in causa i piani segreti delle forze siriane che hanno intenzione di destabilizzare il Libano, con l’aiuto d’incontrollati gruppi palestinesi. Dall’altra, soprattutto da parte dei rappresentanti dei campi profughi negando ogni implicazione, si grida al complotto americano-sionista, una voce che attecchisce bene nel sostrato più basso della popolazione.

La politica di portare acqua al proprio mulino come risposta a qualsiasi evento di risonanza nazionale, è difficile da sradicare. L’entrata prepotente di Al-Qaeda nello scenario libanese, potrebbe portare la situazione già fortemente instabile, a livelli di guardia preoccupanti. Intanto dopo il ritrovamento di un giovane pastore senza vita, crivellato di colpi d’arma da fuoco, sul conteso confine libanese-israeliano, ha provocato la reazione della “resistenza islamica” di Hezbollah, che ha attaccato nella giornata di venerdì diverse postazioni militari israeliane nell’area delle fattorie di Shebaa. La voce del “partito di Dio” si sta facendo largo sulla scena nazionale libanese e comincia a farsi più politicamente chiara, forse galvanizzata dalla vittoria di Hamas in Palestina.

Lo stesso segretario generale del partito Hassan Nasrallah ha avvertito il nemico di ricordarsi che suo compito è quello di “resistere” all’intruso israeliano, azzerando così il dibattito nazionale sul possibile disarmo della milizia, ed ha dichiarato chiaramente per morto il quadripartito d’unità nazionale che si era formato in giugno dopo le elezioni nazionali. Sono ormai lontani i tempi in cui Hezbollah si limitava a salvaguardare la “resistenza”, lasciando libero il campo politico ad altri attori.

La situazione complessiva libanese, in cui potrebbero inserirsi anche diversi gruppi radicali islamici, rimane un difficile groviglio da sbrogliare, e l’arma del dialogo sembra che non sia in questo momento una delle più utilizzate.