giovedì 16 novembre 2006

La febbre del confronto. Le elezioni universitarie termometro della situazione libanese

Le elezioni dei rappresentanti degli studenti all’Università Americana di Beirut stanno lasciando preannunciati strascichi. I risultati previsti per mercoledi sera però, evento unico nella storia dell’università, sono stati posticipati al giovedi mattina. Versione ufficiale: l’università non era pronta a fronteggiare una possibile escalation della tensione ed ha preferito spostare lo scrutinio alla mattina seguente, nel tentativo di raffreddare gli infuocati animi. Il primo rumore a circolare, riportato anche dall’emittente libanese NewTv, è stato quello di una diretta interferenza dell’ambasciata americana, che ha fatto pressione sugli organismi universitari affinchè rinviassero i risultati ufficialmente previsti per mercoledi sera.

La prima vera “battaglia” politica tra la coalizione del 14 marzo e quella del 8 marzo, dopo la disastrosa guerra estiva, ha visto come scenario quello dell’Università Americana, la più grande in numero di studenti, fra le università nazionali e quella con maggior “peso politico”. Non è un caso che l’attuale Primo Ministro Fouad Siniora si sia graduato proprio in questa università. Così come molti degli attuali membri del parlamento nazionale. La maggioranza delle altre università libanesi ha invece preferito rinviare a data da stabilirsi le elezioni dei rappresentanti degli studenti, sia per la difficile situazione post-guerra, sia per l’attuale tensione a livello nazionale.

Un vero e proprio termometro dell’attuale situazione politica libanese, nel mezzo di un acceso dibattito nazionale su una nuova spartizione del potere confessionale, la fuoriuscita di sei ministri dal Gabinetto del governo Siniora, perlopiù sciiti dei partiti di Amal ed Hezbollah, l’approvazione da parte del governo del tribunale internazionale per giudicare l’assassinio di Hariri, e le esternazioni dell’ormai inviso Presidente Emile Lahoud.

Lo scontro non è stato solo politico, ed alcune scaramucce si sono registrate sia all’interno che nelle strade adiacenti l’università. Scaramucce provocate principalmente dalla massiccia presenza dei supporter delle varie fazioni politiche, accorsi numerosi a far piantone e cantare slogan ai cancelli dell’università. La strada che fiancheggia l’università si è tramutata per tutta la giornata di mercoledi in un vero e proprio carosello di automobili, ognuna sventolando le rispettive bandiere di aderenza politica. La presenza, in quantità considerevole e con mezzi corazzati, di polizia, esercito e reparti speciali in tenuta antisommosa, ha scoraggiato i più facinorosi, ma non ha potuto evitare lievi scontri tra le opposte fazioni.

Principale leitmotiv della battaglia politica, gli ormai storici identificanti del 14 marzo e del 8 marzo, in riferimento agli eventi della cosiddetta primavera dei cedri del 2005. Nonostante le regole dell’università vietassero il riferimento diretto a qualsiasi partito politico esterno, le liste nascondevano un’apparenza chiara a tutti. Da una parte, i partiti di Hariri, Jumblatt ed il dottor Geagea, rappresentanti il governo attuale, e dall’altra, il generale Aoun, Berri e Nasrallah, la nuova opposizione. In mezzo, gli “indipendenti”, un’alleanza tra gruppi di sinistra, tra cui i Comunisti ed il collettivo NoFrontiers, che senza troppi supporti esterni, sia economici che politici, non hanno potuto condurre una campagna elettorale contundente, non sono riusciti a presentare candidati per numerosi posti, ed hanno così lasciato spazio in molte facoltà al puro bilateralismo che rispecchia la convulsa situazione nazionale.

In palio: novantasei posti di rappresentanti per un totale di sei facoltà, il cui piatto più appetitoso era rappresentato da quella di Arte&Scienze. Risultato: entrambi vincitori, e lieve soddisfazione della coalizione di sinistra, sia per l’ottenimento di alcuni rappresentanti, sia per la risposta degli studenti al caldeggiato invito alla scheda bianca. Mentre la coalizione di Hariri e del Future Movement festeggiava nelle strade fuori dall’università, gli arancioni del Free Patriotic Movement, si riunivano con i gialli ed i verdi di Hezbollah ed Amal, gridando alla vittoria all’interno del campus. Con un contundente discorso il rappresentante di Tayyar, il movimento di Aoun, ha prima gridato alla sonante vittoria, data dalla conquista di quattro facoltà su sei, da parte della sua coalizione. Poi ha invocato lo spettro dei brogli, dovuto alla presenza in una cassetta elettorale di quattro schede in più rispetto ai possibili votanti totali del seggio. Per concludere, ha alzato prepotentemente la voce “per una caduta prima del governo nazionale e poi della stessa amministrazione dell’università”. Cavallo di battaglia, la lotta alla piaga della corruzione libanese. Tutto speculare ai discorsi dei “modelli” nazionali.

Alle accuse di brogli si è aggiunto un’altra voce in mattinata, sul tentativo di interferenze esterne nei riguardi della posizione degli studenti giordani nelle elezioni, la comunità straniera maggioritaria all’interno dell’università. Secondo molti, la stessa ambasciata giordana si sarebbe esposta direttamente, intuendo la controtendenza di quest’anno, per evitare che i suoi connazionali votassero per le liste del 8 marzo, ma si schierassero invece dalla parte dei seguaci di Hariri, secondo la tendenza degli ultimi anni. I risultati di questa possibile interferenza sui singoli studenti non sono facilmente interpretabili.
In un paese che molti libanesi non lesinano nel definire sull’orlo del baratro di un’altra inconciliabile guerra civile, le prospettive per il dialogo non sono delle più rosee. Si dice che la futura classe politica libanese esca principalmente dall’università americana, ed alla luce dello svolgimento delle sue elezioni “democratiche” interne, ciò getta un cono d’ombra sul futuro del paese.

All’orizzonte intanto, una complicata trama politica da sbrogliare. Il paese dei cedri ha assistito negli ultimi due anni ad una “rivoluzione”, il ritiro della Siria dal suo territorio, numerosi omicidi politici, una guerra contro Israele, ed ancora deve passare un anno prima della data dell’elezione del nuovo presidente della repubblica, obiettivo a cui sembra che tutte le forze politiche vogliano arrivare con la maggior forza possibile. In quel momento si deciderà molto del futuro del Libano.

domenica 12 novembre 2006

Portatori di pace

Intervallo. Salotti diplomatici internazionali. Ritiro truppe dall’Iraq, conferenza internazionale per l’Afghanistan, indipendenza del Kosovo.

Intervallo. Sud del Libano. Popolazione. Migliaia di bombe inesplose sono ancora nascoste nei campi. Ne rendono impossibile la coltivazione e rubano le vite di bambini che giocano attratti da questi oggetti luccicanti. La gente fatica a rimettersi in cammino, ricominciare da zero, ricostruire, l’uranio impoverito, le bombe al fosforo. Sembra che almeno l’arrivo delle truppe internazionali abbia portato una ventata di prosperità. Comincia il business, servono traduttori, servono autisti, servono ristoranti, servono bar. Un traduttore si dice che guadagni 1200$ al mese, mentre una guida 800$. Nessuno si lamenta più dei soldati ghanesi o dei pachistani che non spendevano mai una lira. Ora ci sono italiani, francesi, spagnoli. Tagliatelle, Brie, Tortilla. A volontà.

Intervallo. Sud del Libano. Inverno alle porte. Forze internazionali d’interposizione. Italiani. Hariss è un paesino del sud del Libano, nel comprensorio di Bint Jbeil. Questa zona è uscita annichilita dalla guerra estiva. Interi villaggi sono ridotti in macerie e qualche famiglia è ancora costretta a vivere in improvvisati accampamenti. La scorsa settimana sembra che otto militari italiani, appartenenti alle forze di pace, siano entrati in un negozio di questa cittadina, e con un’azione congiunta, dividendosi in tre gruppi, abbiano derubato il negoziante di 300$ di merce, perlopiù attrezzature militari. Il primo gruppo distraeva il negoziante, il secondo cercava di focalizzarne l’attenzione, mentre il terzo agiva nelle retrovie facendo manbassa. Tecniche apprese nella guerra al terrorismo in Afghanistan o in Iraq. Il negoziante se ne accorge. Arriva la polizia libanese. Investigazione. Un caso isolato. Si dice che ogni soldato guadagni 3000$ al mese per partecipare alla missione di pace. Annoiati.

Intervallo. Beirut. Notte inoltrata. Forze internazionali d’interposizione. Francesi. La scorsa settimana, tre giovani imberbi mi si avvicinano in mezzo alla strada. Spaesati dalle strade deserte mi chiedono, in perfetto inglese, se parlo francese. Ok, è inevitabile, sono francesi. Mi chiedono se conosco un “sex-bar” nella zona. Mmm. Uno in particolare o uno qualunque? Uno qualunque. Seguite quella strada ragazzi, in fondo a sinistra, e poi a destra avanti duecento metri. Ecco lì ci sono i più squallidi super night club della città. Mi salutano “militarmente”. Ok. La domanda sarà cresciuta dopo l’arrivo delle forze di pace. Il business della prostituzione sarà alle stelle. Russia, Europa dell’Est, Africa. Me le immagino all’aeroporto, come al solito, aspettando il visto in fila ad uno sportello apposito. Venti, trenta alla volta. Normalmente arrivano per la stagione estiva, per “soddisfare” i sauditi in vacanza libertina in Libano. Stagione invernale. Peacekeepers. Afghanistan, Iraq, Kosovo, pace e amore per tutti.